SYNOPSIS

Durante una notte dalla luna che si tingerà di rosso, tra le rovine di un castello con area cimiteriale annessa, un gruppo di giovani defunti rievoca a turno il momento della propria tragica dipartita.
Essi sono cinque delle 16 vittime pasoliniane del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” e, per l’esattezza, quelle vittime la cui morte nell’opera di Pasolini non venne mai mostrata e che solo grazie alle fotografie di scena scattate da Fabian Cevallos è stato possibile ricostruire.
Alle testimonianze dei giovani si alternano i rapidi flashback dell’evento passato (la primavera del 1975), che mostrano l’istante in cui trovarono la morte dopo le crudeli torture a loro inflitte dai carnefici, all’interno di un cortile.
Improvvisamente, il cielo di quel drammatico pomeriggio di primavera si adombra; il sole si eclissa dietro una coltre di nubi, facendosi al contempo metafora della vita che si spegne.
A quel punto, l’azione si sposta in un terzo territorio, un luogo dal tempo imprecisato; una landa desertica dove le vittime vagano spaesate fino ad incontrare l’ultimo dei loro carnefici.
I protagonisti realizzeranno, così, di non essere realmente morti e che le testimonianze al castello erano solo il frutto di una proiezione onirica relativa ad un evento non ancora compiutosi.

“la crudeltà più grande, è quella di sottrarre il sole alla vista di tutti”

– Sergio Citti, raccontando dei possibili finali pensati da Pasolini.